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[13-14/05/2011] Short Circuit presents Mute @ Roundhouse, London (UK), celebrazione di un'etichetta fondamentale

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theMaze
icon12  view post Posted on 19/5/2011, 18:36     +2   +1   -1




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La Mute Records forse non tutti ce l'hanno presente, ma poi quando si nominano alcuni degli artisti che ha pubblicato, (basterebbero i Depeche Mode, ma se aggiungiamo Nick Cave, i DAF, gli Einstürzende Neubauten, gli Erasure, Fad Gadget, Wire, Nitzer Ebb, Laibach, Diamanda Galas e, più recentemente Moby o Goldfrapp... e si potrebbe continuare), si comincia a comprendere quanto questa etichetta rappresenti non solo per la musica elettronica, non solo per la musica indipendente, non solo per la musica britannica, ma per la musica in generale, un punto di riferimento importantissimo e un esempio di grande gestione: un'etichetta che ha saputo portare al successo anche artisti "difficili", fare proposte che spaziassero dal pop più commerciale alla sperimentazione più disturbante, il tutto grazie alla visione eclettica e alla supervisione costante del suo fondatore, il mitico Daniel Miller (che creò l'etichetta nel lontano '78 allo scopo di pubblicare il proprio singolo, ormai leggendario, "Warm Leatherette" sotto il nick The Normal) e dei suoi collaboratori.

La Roundhouse, una della location più storiche di Londra, ha dedicato il suo annuale festival "Short Circuit" proprio alla Mute Records: una celebrazione meritata ed organizzata in modo pressochè impeccabile, che ha richiamato fans da tutta Europa e che prevedeva non solo concerti e DJ set di assoluto spessore, ma anche incontri, eventi e iniziative di vario genere, ospitati tutti nelle diverse aree della splendida location. Un rapido elenco:

Concerti:
- KOMPUTER, RECOIL, BALANESCU QUARTET, NITZER EBB, RICHIE HAWTIN, CARTER TUTTI + NIK VOID, NON, RICHARD H. KIRK, POLE, T.RAUMSCHMIERE, LIARS, THE RESIDENTS, ERASURE + ALISON MOYET, LAIBACH, BIG DEAL, POPPY AND THE JEZEBELS, SCUM, JOSH T. PEARSON

DJ Sets:
- Richard Warren, Moby, Daniel Miller, Gudrun Gut, Barbara Preisinger, Danny Briottet (Renegade Soundwave), Andy Fletcher (Depeche Mode), Martin L. Gore (Depeche Mode)

Altri eventi:
- Incontro con Gareth Jones (produttore U2, Depeche Mode, PJ Harvey etc.)
- Incontro con POLE sul mastering
- Proiezione del film su Nick Cave
- Incontro con Flood (produttore Depeche Mode, U2, NIN, Smashing Pumpkins etc)
- Sala con attrezzatura per costruzione di synth e circuit-bending
- Area per la prova di sintetizzatori analogici e modulari

Se devo trovare un difetto a questo festival mi permetto solo di osservare che, mentre il palco principale era di una grandezza e di una qualità sonora straordinaria, la location secondaria era davvero minuscola, tanto che per concerti come quello di Carter Tutti si è formata una coda di almeno duecento persone che avrebbero voluto assistere, mentre all'interno più di 80-100 persone non ci stavano proprio.

Veniamo ora ai concerti cui ho assistito.

VENERDI'

RECOIL, ovvero il progetto di Alan Wilder una volta uscito dai Depeche Mode. Sul palco Alan, accompagnato dal fido e canuto Paul Kendall, suo collaboratore da anni, e da suggestive e azzeccate proiezioni video, ha strabiliato e coinvolto, offrendo uno spettacolo da lacrime agli occhi che il pubblico non ha mancato di premiare con ripetute ed entusiastiche ovazioni. Alan, oltre ad essere un musicista eccezionale e raffinato, non è certamente un fesso e sa come accontentare il pubblico, e ha quindi proposto i pezzi più noti del suo repertorio solista (fra cui ricordiamo "Want", "Halleluja", "Prey", "Shunt", "Jezebel") in una versione più aggressiva, per un migliore impatto live, e mescolandoli, per non sbagliare, ad accenni ai Depeche Mode (l'aggro mix di "Never let me down again", un remix di "In Your Room"), che sono stati ovviamente salutati con grida di giubilo e applausi.

Prevedibilmente, visto che hanno collaborato spesso, sul finale è salito sul palco, e anche lui salutato da un'ovazione, mr. Douglas McCarthy in persona, per cantare una splendida "Faith Healer". Inattesa ma graditissima sorpresa invece vedere salire sul palco subito dopo Daniel Myer (Haujobb/Architect) e gli altri due Nitzer Ebb, Bon Harris e Jason Payne, per proporre una dirompente versione di "Family Man", seguita da "Stalker" e dalla conclusiva, esplosiva versione di "Personal Jesus", che ha mandato letteralmente in visibilio la platea.

Un autentico, meritato trionfo, un concerto sublime da parte di un Artista di quelli con la A maiuscola, che si mostrava pure timidamente sorpreso del calore del pubblico.
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La domanda è: posso essere obiettivo, visto che sono uno dei miei gruppi preferiti di sempre? Non so. Ma non ero l'unico, in mezzo alla bolgia della Roundhouse, che non riusciva a stare fermo un secondo. Un concerto dei NITZER EBB è un'iniezione di adrenalina unica e irresistibile: la presenza scenica e la capacità di coinvolgere il pubblico di Douglas McCarthy e Bon Harris è davvero impressionante, e la potenza di fuoco scatenata dalle loro linee di basso e percussioni rende veramente impossibile opporre resistenza. Il pubblico della Roundhouse non era particolarmente 'dark' nè particolarmente 'EBM', ma tutti, dico tutti, di ogni età e genere, hanno saltato, gridato, ballato ogni nota di un concerto che ha visto passare il meglio del repertorio dei nostri due, galvanizzati (se mai ce ne fosse stato bisogno) e incitati della folla.

Solita partenza razzo con Getting Closer, le prescelte dall'ultimo album sono Down on your knees, Payroll e Once you say (in una versione assolutamente stellare), oltre ai classicissimi: Shame, Control I'm Here, Let your body Learn, Godhead, Lightning Man, Murderous. Non ci sarebbe tempo per il bis, ma ci viene ugualmente concesso, richiesto a gran voce: una versione ultraterrena di I Give to You. Dirompenti, devastanti, come sempre. Una garanzia.
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Dopo i Nitzer Ebb, ho tentato una volata verso il Club Theatre, per vedere CARTER TUTTI feat. NIK VOID, ma come già detto, la coda per entrare era veramente impossibile. Ho ascoltato il concerto da fuori. Posso solo dire, pertanto, che questi signori, monumenti dell'industrial, quello vero, danno dei punti, e parecchi, a tanti altri giovincelli. Abbandonata la sperimentazione 'pura' delle origini, Cosey e Chris si sono raddolciti, ma non certo raffinati: hanno investito il pubblico con un muro sonoro non indifferente, ma mai fine a se stesso. Può il rumore essere scelto con buon gusto? Parrebbe di sì, perchè le atmosfere evocate da Chris ai synth e da Cosey e Nik Void a chitarre distorte e voci filtrate erano tutto fuorchè casuali. Nonostante di rumore si trattasse.

A questo punto era il turno di Boyd Rice con il suo progetto NON, ma di là si sovrappone RICHIE HAWTIN, quindi esco dalla coda di sotto e torno sul main stage. Appena in tempo: il pubblico sta già tunzando sotto i martellamenti del formidabile "Plastikman". Non sono particolarmente ferrato sulla sua produzione discografica, ma il signor Hawtin ha smartellato come poche ho volte ho sentito fare da una one-man-band armata di laptop e circuiteria sparsa sul tavolo. Una performance forse non per tutti, ma senza dubbio alcuno imperdibile e storica per gli appassionati di techno. Ipnotico, potente, bravissimo e impeccabile dal punto di vista tecnico. Ho ballato finchè ho avuto piedi (già provati peraltro dai concerti precedenti), mentre dalla distanza ammiravo la perizia con cui quest'uomo smanettava sulle sue scatoline tecnologiche.
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Conclusa la serata sul palco principale, si prospettava un problema di capienza non da poco, in quanto rimanevano aperti esclusivamente il minuscolo club stage (dove stava suonando peraltro RICHARD H. KIRK e di lì a poco sarebbero seguiti POLE e T.RAUMSCHMIERE) e il locale a fianco Made in Camden (con DJ Daniel Miller, Gudrun Gut e Barbara Preinslinger). La gente non sembrava intenzionata a defluire e le code per entrare nei due spazi si allungavano a vista d'occhio. Ho pazientato il possibile, ma alla fine mi sono arreso e sono tornato in Hotel.

SABATO

Alla mattina erano attesi il mitico produttore Gareth Jones e il regista Anton Corbijn. Anche in questo caso il numero di posti era "limitato e prioritario verso i possessori di biglietto Premium"; nessuna chance di partecipare agli incontri, ho tagliato anche l'incontro con POLE sul mastering, per non rischiare di perdere quello con FLOOD, leggendario produttore di alcuni dei più bei dischi della storia (fra cui ricordiamo Violator e Songs of Faith & Devotion dei Depeche Mode, The Downward Spiral dei NIN, Achtung Baby degli U2, per non parlare di Nitzer Ebb, Smashing Pumpkins, Nick Cave, Curve e tanti altri). FLOOD si è lanciato in una piacevole chiacchierata su cosa sia la produzione e su come una lagna accompagnata da un organetto sia poi diventata "Enjoy The Silence". Per gli appassionati, un incontro imperdibile.

Musicalmente parlando, la giornata è iniziata invece con la performance "DIRTY ELECTRONICS" dove i ragazzi che avevano passato la mattina a costruire sintetizzatori armati di saldatori e circuiti stampati, hanno potuto "suonare" le loro creazioni: un'ora di delirio sonoro di cui potete ascoltare qualche estratto su youtube, e che ha fatto scappare qualcuno, ha spaventato quelli che attendevano pazientemente l'inizio dei concerti nel main stage, ma che non ha mancato di divertire i presenti e gli appassionati di circuit bending.

Il main stage si è aperto con DANNY BRIOTTET dei Renegade Soundwave che si è lanciato in un DJ set di sapore old-school che ho apprezzato non poco, seguito dai LIARS, novello gruppo di sperimentazioni elettro acustiche parte del roster della Mute dal 2004. Non li conosco bene e questo senz'altro ha influito sul gradimento, ma li ho trovati di una noia mortale e di una pretenziosità insopportabile, il classico gruppo che di istinto manderei a lavorare senza possibilità di appello. Magari sono dei geni, e il sottoscritto è un deficiente, sono aperto a tutte le possibilità, fatto sta che non ho apprezzato per nulla il loro concerto sbadigliando e dedicandomi alla degustazione della Old Speckled Hen alla spina.

Ho avuto qualche difficoltà anchee a resistere ai RESIDENTS, storico gruppo d'avanguardia che ho trovato comunque un po' fuori posto nel contesto del festival. Basato sul loro ultimo lavoro multimediale "Randy's Ghost Stories", il concerto ha visto i tre musicisti vestiti da vecchietti (con tanto di vestaglia e ciabatte), il palco allestito come un salotto con divano e caminetto, e musiche spettrali, bizzarri effetti vocali, e lunghissime narrazioni di storie di fantasmi. Lì per lì, un'idea neanche malaccio, ma oltre un'ora di questa roba ha veramente sfiancato il pubblico che, oltretutto, si stava ammassando in platea per l'arrivo dei successivi ERASURE, non proprio lo stesso genere.
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Introdotti da un breve set dell'applauditissimo ANDY FLETCHER, incapace di mixare ma very piacione nelle selezioni, salgono finalmente sul palco il mitico Vince Clarke in completo rosso e Alison Moyet, vale a dire gli YAZOO: il loro è solo un breve set introduttivo, in cui suonano "Nobody's Diary", "Ode to Boy" e il gran finale di "Don't Go", ovviamente accolta da un immenso boato, che ha portato alle lacrime parecchi nostalgici. Breve ma intenso come si dice, e assai apprezzato. Sul palco sale poi finalmente Andy Bell e il concerto vero degli ERASURE comincia. È sicuramente la parte più smaccatamente commerciale di tutto il festival, e forse quindi quella con più pubblico, e appare evidente che moltissime persone siano venute alla serata appositamente per loro: il concerto è una fantasmagoria barocca di elettro pop e ripercorre pari pari i più grandi successi del duo (ricordiamo Sometimes, Victim of Love, Ship of Fools, A Little Respect, Take a Chance on Me, Blue Savannah), che non sembra aver perso la carica istrionica di sempre (un po' appesantito Andy, va detto!). Pur non essendo un fan, non posso negare che il concerto sia stato piuttosto gradevole (si intravedevano pure i Laibach ballare!). A sorpresa nel finale è salito sul palco anche Feargal Sharkey, per cantare l'unico singolo registrato assieme a Vince Clarke con il nome THE ASSEMBLY, "Never Never", nel lontano 1983. Pubblico in delirio, è una vera festa: bizzarro pensare a quanto successo abbia avuto la Mute nelle sue uscite più pop, mentre contemporaneamente pubblicava Diamanda Galas e Einstürzende Neubauten.

Segue novamente FLETCH per una mezz'ora, e mi chiedo per quale ragione acclamare un pezzo dei Depeche Mode suonato da un membro dei Depeche Mode che fa il DJ, ma del resto, il numero di persone presenti con t-shirt dei Depeche Mode ti fa capire che razza di fenomeno siano diventati ormai... e che qualcuno magari sia venuto solo per ascoltarsi o vedere da vicino Fletch e Martin... mentre viene montato il palco per il concerto successivo. I LAIBACH hanno sfoderato una potenza davvero inaudita e un concerto assolutamente splendido. Marziali, epici, apocalittici, accompagnati dai consueti video di "propaganda industriale", hanno alternato inesorabili crescendo ad esplosioni di violenza che hanno lasciato il segno ad una folla estatica. Essendo la mia prima volta, confesso che non mi aspettavo i Laibach fossero una macchina live così perfetta. Davvero esaltante, Milan Fras autorevole e magnetico, non meno brava Mina Spiler, seconda voce e synth. Il concerto mi sembra sia grosso modo lo stesso presentato nell'ultimo tour, "Laibach Revisited", con una selezione di pezzi classici del gruppo riarrangiati in versioni davvero suggestive, epiche, che dal vivo funzionano alla grande: passano così le varie Brat Moi, Smrt za Smrt, Drzava, Ti Ki Izzivas, e ovviamente Opus Dei e Geburt Einer Nation, per un finale da pelle d'oca che si conclude degnamente, e giustamente, con una cover eccelsa di "Warm Leatherette", il pezzo che iniziò l'avventura della Mute records. Uno spettacolo intensissimo.
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Ma non c'è molto tempo, e il concerto si deve chiudere perché il coprifuoco impone che l'ultimo evento si concluda prima della partenza dell'ultima metropolitana, intelligente usanza Londinese. Quindi spazio a MARTIN L. GORE, anche lui acclamato da una folla adorante, per un DJ set oggettivamente gradevole, di buon gusto, e mescolato a parti suonate live (ma nulla dei Depeche Mode, con somma delusione del pubblico). Martin non è un DJ ma va detto che se la cava piuttosto bene, portando a degnissima conclusione il festival.

In conclusione: una riuscitissima celebrazione della Mute Records, una manna per gli appassionati di musica elettronica e non solo, concerti grandiosi, apprezzatissimo mix di generi, eventi e incontri imperdibili. Una festa, veramente una festa.

Se solo il club theatre fosse stato un pelino più capiente...

Edited by theMaze - 23/5/2011, 13:27
 
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